mercoledì 9 settembre 2009

QUI PADULA / LA CERTOSA HA... UN SANTO PROTETTORE


Due illustri intellettuali del Vallo di Diano, provincia di Salerno, Rino Mele e Achille Bonito Oliva, nati rispettivamente a Sant’Arsenio (1938) e a Caggiano (1939), sono su posizioni opposte relativamente al destino della Certosa di Padula da quando Bonito Oliva l’ha individuata quale location delle rassegne "Le opere e i giorni" (2002-2003-2004) e "Ortus Artis" (2003-2004-2006) e della manifestazione ORTUS ARTIS E FRESCO BOSCO (promossa dalle Soprintendenze di Salerno e Avellino e finanziata dalla Regione Campania),con la presenza di artisti di fama internazionale e relative sculture, opere pittoriche, fotografie, installazioni, performances e la realizzazione di giardini contemporanei nelle celle dei monaci.
Di Achille Bonito Oliva Rino Mele, professore universitario di Storia del teatro, ha scritto:
“E’ bravissimo, certo, e costruisce corridoi nuovi dell’arte, ma poi confonde se stesso con l’oggetto della sua ricerca, crede di essere la gioconda ma dimentica di farsi uno sberleffo, di mettere i baffi al suo cattivo sorriso. “
Intanto a Padula, proprio nei luoghi della sua infanzia - lui che certo non ha bisogno di nuovi spazi - si è divorato la Certosa” – aggiungiamo noi- da bravo e certosino costruttore di fantasmi napoletani.
Ed ecco come Rino Mele, diventato… santo protettore della Certosa di S.Lorenzo, ha rincarato la dose nell’articolo del 6 settembre scorso:
“””Bonito Oliva (uno studioso di prim’ordine che a Padula ha mostrato di cadere in se stesso, inciampare nell’ansia di dominio e teatrale prevaricazione) si è insignito di un ruolo -per quanto riguarda la Certosa- che non gli compete, creando uno sgradevole effetto di percezione distorta. Un ruolo di comando assoluto che contrasta con la sua funzione di analista dell’arte e dei suoi processi storici. Ora, da alcuni anni la Certosa, diventata spettacolo di se stessa, artificio luminoso, è stata occupata nella sua parte più nobile ed essenziale, quella che gira intorno al grande chiostro -le sue ventiquattro celle come le ventiquattro ore del giorno- dall’adolescenziale iattanza di un critico che, avendo permesso a molti suoi artisti di pensare in quelle celle le loro opere, decide di non muoverle più di lì, di mettere a queste opere piedi di pietra e d’infeudare quelle celle alla sua vanagloria. Tutto questo lo teorizza finanche, e con un lapsus svela il pericoloso gioco di scambio tra principio di realtà e desiderio. Non ci si può a lungo fingere quello che non si è senza rischiare, in un pomeriggio offuscato dalla notte meridiana, di credersi dio. Nel saggio che apre il suo libro riguardante i lavori nelle celle della Certosa, “Le opere e i giorni” (2006), Bonito Oliva scrive: “Gli artisti, come i certosini del passato, hanno abitato creativamente i diversi spazi e coabitato con le loro opere nella stessa cella. Qui il processo creativo è stato attivo protagonista di opere che si sono forgiate nel clima di un tempo di creazione collettiva e nello stesso tempo individuale. Ogni anno gli artisti invitati hanno risposto con monastica disciplina alla parola d’ordine del critico-priore”. Sembra un gioco ma non lo è: perché quel gioco ha perso la leggerezza dei modelli ludici così vicini al sogno, e all’arte, diventando opaca presenza, ha assunto la maschera del dominio e della sua esibizione, un incrudelire protervo, si è trasformato nella scomoda realtà cui apparteniamo sempre, nel dolore. La Regione ha applaudito col suono delle lunghe dita del Presidente nel suo faticoso sorriso, il Soprintendente ha finto dignitosa distrazione e così i responsabili della Provincia e del Comune di Padula. Morte le celle (ormai chiuse per tardivo pudore, esclusa una) anche il grande chiostro ha perso forza e vita e gli angeli non vi sbattono più contro le ali nella vertigine delle voci, e anche i pipistrelli a sera si annoiano, urtano senza stridi. I coltelli neri del loro volo”””.

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